LA RIFORMA DELLA LEGGE SUL REATO DELLE MUTILAZIONI GENITALE NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
delittuose contro l’incolumità individuale. Al primo comma dell’art. 583–bis, si punisce con la reclusione da 4 a 12 anni, chiunque in assenza di esigenze terapeutiche, cagioni una mutilazione degli organi genitali femminili.
Venendo
alla descrizione dell’opera del legislatore italiano, questi accogliendo anche
gli inviti provenienti da fonti internazionali volti a contrastare le pratiche in
esame, ha introdotto nell’ordinamento italiano l’art. 6 della legge 9 gennaio
2006 n. 7, il reato delle mutilazioni genitali femminili, (l’art. 583–bis e
583-ter c.p).
Tale
legge è caratterizzata in primo luogo da una finalità di natura preventiva,
che si basa su una serie di norme che prevedono attività di informazione, di formazione,
educazione della famiglia, del personale scolastico, del personale sanitario,
con il coinvolgimento anche delle comunità straniere presso le quali queste
pratiche sono tradizionalmente diffuse, creando in questo modo un dialogo con le
altre culture ed investendo su progetti educativi che incentivino sull’abbandono
di pratiche dannose per la salute .
Inoltre,
la legge prevede anche un contesto repressivo,
che si sostanzia nell’ introduzione dell’art. 583-bis e dell’art. 583-ter, del
codice penale.
Il
legislatore ha nominato l’art. 583-bis sotto la rubrica,
“Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”,
che introduce due nuove ipotesi
delittuose contro l’incolumità individuale. Al primo comma dell’art. 583–bis, si punisce con la reclusione da 4 a 12 anni, chiunque in assenza di esigenze terapeutiche, cagioni una mutilazione degli organi genitali femminili.
Al
secondo comma, invece, si punisce con la
reclusione da 3 a 7 anni, chiunque in assenza
di esigenze terapeutiche, provochi lesioni al fine di modificare le funzioni
sessuali agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate dal primo comma, da cui derivi una malattia del corpo
e della mente .
L’art.
583–ter c.p. poi, prevede a carico del
medico condannato per tali delitti, la pena accessoria della interdizione dalla
professione sanitaria. Il nostro legislatore al pari con altri paesi
occidentali, ha scelto di ricorrere a nuove norme incriminatrici ad hoc per punire le pratiche di mutilazioni
genitali femminili, ritenendo in questo modo inadeguate a tale scopo, le norme
“generali” riconducibili ai delitti di lesioni personali dolose, gravi o gravissimi, a seconda del tipo
di conseguenze prodotte da queste pratiche .
Dunque,
la legge n. 7 del 2006, non crea “nuove incriminazioni”, ma sposta le condotte
delle mutilazioni dall’aria generale dei reati di lesione, (ex art. 582 e 583
c.p. ) a quella più severa, che è l’art. 583–bis c.p., portando con questa legge una tendenza
della nostra legislazione alla frantumazione
della figura delle lesioni derivate dalle MGF in una pluralità di fattispecie specifiche .
La
ragione dell’introduzione nel nostro ordinamento di una norma ad hoc, per la repressione del fenomeno delle
mutilazioni genitali femminili può individuarsi dalla necessità, avvertita da più
parti,
di una netta posizione del nostro ordinamento contro tali pratiche,
in particolare, di fronte ai crescenti flussi migratori provenienti dai paesi
in cui sono diffuse e dove si praticano le MGF. In questo modo, il nostro
legislatore attraverso questa disciplina condanna esplicitamente le pratiche di
mutilazioni genitali, sottolineando il loro peculiare disvalore,
sia dal punto di vista oggettivo che dal punto di vista soggettivo.