L’art.
583-bis al secondo comma c.p. , prevede il reato di lesione agli organi genitali
femminili, che consiste: “chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche,
provoca al fine di menomare le funzioni sessuali, lesione agli organi genitali femminili
diverse da quelle indicate dal primo comma dell’art. 583-bis c.p. , da cui derivi
una malattia nel corpo o nella mente”.Vi rientrano pertanto, tutti i tipi di
aggressione agli organi genitali femminili esterni produttivi di una malattia
nel
corpo e nella mente, purché non consistenti in una mutilazione totale o
parziale degli stessi.
Si
tratta di un reato, che rispetto al reato di cui all’art. 583-bis primo comma
c.p. , svolge una funzione sussidiaria, in quanto punisce con una pena più
lieve tutti gli interventi sugli organi genitali femminili. Le conseguenze
degli interventi a cui si riferisce l’art. 583-bis secondo comma, sono lesioni
diverse da quelle proprie degli interventi di mutilazione genitale previsti al
primo comma i quali, come abbiamo visto, sono caratterizzati dal fatto di
determinare un diminuzione permanente delle funzioni sessuali della donna. Infatti,
è questa diminuzione permanente che segna il discrimine tra le due fattispecie.
Il reato di lesione sugli organi genitali femminili si pone in rapporto di specialità
con il reato di lesioni comuni previste dall’art. 582 c.p. e l’elemento speciale è costituito dal “fine
di menomare le funzioni sessuali”.
Quindi,
la norma impiega una formula identica a quella che ricorre nell’art. 582 c.p. In
entrambe le norme deve verificarsi una malattia nel corpo o nella mente.
Dunque, siamo in presenza di un reato a dolo specifico ed è il dolo specifico a
determinare lo spostamento del fatto lesivo dall’aria della punibilità delle
lesioni comuni (art. 582 c.p. ) a quella più severa dell’art. 583-bis.
Tuttavia,
per non far dipendere la diversità di trattamento sanzionatorio di fatti lesivi
identici da una mera intenzione offensiva, evidenziando così il carattere dell’art.
583–bis, quale norma culturalmente orientata, si deve aderire a quella interpretazione
che attribuisce al dolo specifico un duplice significato: da un lato inteso
come fine di menomare le funzioni sessuali, dall’altro in senso oggettivo come idoneità a cagionare tale offesa.
Quindi
la fattispecie in esame punisce tutte quelle condotte che creano non un danno,
ma un pericolo per l’integrità funzionale dell’apparato genitale femminile, le
quali sarebbero state punite comunque dall’art.
56 c.p,
come tentativo del reato di mutilazione genitale di cui art. 583-bis primo
comma, c.p. Al riguardo,si può fare l’esempio di un improvviso intervento delle
forze dell’ordine che impediscono la prosecuzione dell’intervento appena
iniziato, in modo tale che le lesioni portate dalla donna siano guaribili in
poco tempo.
Nel
fatto tipico del delitto di lesione degli organi genitali femminili, di cui all’art.
582–bis comma 2, potranno quindi rientrare alcune delle MGF classificate
dall’OMS nel IV tipo.
In
tutte queste ipotesi sarà peraltro necessario verificare l’accoglimento della
nozione “restrittiva” di malattia sopra riferita anche l’effetto di un processo
morboso, produttivo di una riduzione apprezzabile di funzionalità degli organi.