LA DISCIPLINA DEL REATO DI MUTILAZIONE GENITALE PRIMA DELLA LEGGE N.7/2006
a differenza degli altri paesi europei20, dove il fenomeno era già disciplinato e severamente limitato in Italia, non esisteva una normativa ad hoc.
Il
fenomeno delle pratiche delle mutilazioni genitali femminili (che nella maggior
parte dei casi si pratica su bambine, quindi su minori), è diventato oggetto di
discussione e dibattiti non solo a livello internazionale ma anche a quello
locale, rappresentando un problema dal punto di vista sociale, ma anche e soprattutto
da quello giuridico.
Prima
dell’entrata in vigore della l. n. 7/2006,
a differenza degli altri paesi europei20, dove il fenomeno era già disciplinato e severamente limitato in Italia, non esisteva una normativa ad hoc.
La
disciplina si costruiva facendo riferimento alle norme costituzionali, alle Convenzioni
internazionali ratificate dall’Italia, nonché alle norme civili contenute nel codice
del 1942 e a quelle penali contenute nel
codice Rocco ed in leggi speciali.
Innanzitutto
sono state richiamate quelle norme costituzionali che tutelano:
-
l’inviolabilità della libertà personale (art. 13 cost.);
-
i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 cost.);
-
la protezione della maternità (art. 31
cost.);
-
la tutela della salute (art. 32 cost.).
Da
queste norme era possibile trarre il principio secondo il quale i trattamenti
sanitari obbligatori devono essere previsti per legge e che questi non possono violare
i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Dalle
disposizioni del codice civile si riceveva che anche qualora la donna maggiore di età avesse espresso il
proprio consenso, questo doveva ritenersi giuridicamente invalido, appunto
perché si tratta di un intervento che offende la donna nella sua personalità e
dignità.
L’art.
5 c.c., infatti, vieta tutti quegli atti che cagionino una diminuzione
permanente dell’integrità fisica, ovvero siano contrari alla legge. Quindi tale
consenso sarebbe improduttivo di effetti perché nullo, in quanto contrastante
dell’art. 5 c.c. La normativa si completava a livello penale con gli art. 582 e
583 c.p.
La
menomazione dell’organo genitale femminile integrava il reato di lesioni personali
gravi o gravissime a seconda
del tipo di
mutilazione e del tempo occorrente per la guarigione. In questa situazione
accogliendo anche gli inviti degli organismi internazionali e seguendo le iniziative
degli altri paesi europei, il
legislatore italiano, il 9 gennaio del 2006, ha emanato la legge n. 7 (Disposizioni
concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale
femminile),
sulla prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile.
La legge rappresenta nel quadro normativo Italiano ed internazionale un mezzo
di difesa e di prevenzione nei confronti di quelle donne e bambine, il corpo
delle quali sia stato usato per “rispettare” un rito.
In
particolare introduce nel nostro sistema l’art. 583-bis del c.p., nonché l’art. 583-ter c.p.
Con
questa legge, l’ordinamento giuridico italiano si è dotato di uno strumento non
solo repressivo, ma necessario e utile per creare una nuova cultura di diritto
e un nuovo modo per far capire e sensibilizzare alla comunità che pratica le
MGF, quali siano le conseguenze negative fisiche e psicologiche di queste usanze.