
Il
legislatore ha introdotto una fattispecie punitiva autonoma, con l’intenzione di
tutelare efficacemente le vittime di tale pratica. Ma i numeri parlano chiaro
del fatto che in Italia sono 135 milioni le donne
coinvolte (e si calcola che almeno due milioni di bambine potrebbero subire l’infibulazione) ed è noto che anche in Italia tale pratica viene effettuata privatamente oppure portando le bambine nel paese dell’origine e che soltanto pochissimi sono i casi che vengono agli occhi dei medici.
coinvolte (e si calcola che almeno due milioni di bambine potrebbero subire l’infibulazione) ed è noto che anche in Italia tale pratica viene effettuata privatamente oppure portando le bambine nel paese dell’origine e che soltanto pochissimi sono i casi che vengono agli occhi dei medici.
Finora
i casi accertati in cui è stata coinvolta la magistratura sono soltanto due. In
un primo caso, il tribunale di Milano, con la sentenza del 1999, si è trovata a
giudicare un cittadino egiziano che all’insaputa della moglie italiana, durante
un breve viaggio in Egitto ha sottoposto a infibulazione la figlia minore.
Il
procedimento penale è stato avviato dalla denuncia della madre della bambina, alla
quale in conseguenza dell’operazione era derivata una malattia della durata di
dieci giorni e l’indebolimento permanente dell’apparato genitale. L’imputato
accusato per il reato di lesioni personali gravi di cui art. 583 c.p.,a seguito
della procedura di patteggiamento venne condannato alla pena di due anni di
reclusione sospesa condizionatamente.
Il
pubblico ministero nelle sue richieste accolte dal giudice prese in considerazione
il valore culturale e religioso (in senso soggettivo), attribuito dall’egiziano
a tale pratica. Nella fattispecie, il cittadino egiziano pur consapevole che
tale comportamento poteva incontrare limiti dell’ordinamento italiano, decise
comunque di agire, in piena aderenza ai propri costumi.
Tale
precedente giudiziario rappresenta un passo verso il riconoscimento, anche se
indiretto dei rapporti tra reati culturali e cultural defenses.
Sia
il pubblico ministero che il giudice che applicò la pena su richiesta delle
parti hanno riconosciuto che la condotta criminosa presenta una diretta
connessione con le abitudini e con le usanze culturali, socialmente accettate in
Egitto, paese di provenienza dell’agente. Motivo questo, che ha portato con
ogni probabilità i magistrati a riconoscere un disvalore sociale del fatto.
Ma
il caso che conferma l’ingresso della coppia cultural offence e cultural defenses
nel sistema penale italiano è stato deciso nel 1997 dal Tribunale di Torino e dal locale Tribunale dei minorenni.
I
giudici torinesi sono occupati di un caso di MGF,in cui viene sottoposta la
figlia di una coppia di immigrati nigeriani praticata in Nigeria a seguito della
denuncia per lesioni personali gravissimi da parte di alcuni medici .
Il
procedimento si concluse con un decreto di archiviazione richiesto dal Pubblico
ministero, per mancanza di condizioni per legittimare l’esercizio dell’azione
penale, in ordine alla violazione dell’art. 110, 582 e 583 c.p., poiché sia la
figlia che i genitori sono cittadini nigeriani ed essi hanno inteso
sottoporrere la figlia a pratiche di mutilazione genitale, pienamente accettate
dalle tradizioni locali del loro Paese. In questa pronuncia sembra evidente la
convinzione dei genitori di eseguire un obbligo normativo-morale, ed il giudice
torinese ha accolto come elemento culturale idoneo ad escludere un
comportamento pregiudizievole penalmente rilevante .
Sia
nel primo caso che nel secondo caso giudiziario è chiaro che la giurisprudenza
italiana di fatto abbia percepito che si trattasse di un reato culturalmente
orientato.
E
al di là delle soluzioni giurisprudenziali di questi casi concreti, va osservato
che pur in assenza di una legge ad hoc,
i fatti di MGF in Italia rientravano teoricamente nell’art 582, 583 c.p. cosi, ad
esempio una mutilazione genitale che avesse cagionato una malattia di durata superiore
ai quaranta giorni, ovvero un indebolimento permanente dell’apparato sessuale
riproduttivo, avrebbe potuto essere punita come lesione grave, ai sensi dell’art
583comma 1 c.p., mentre una mutilazione genitale produttiva della perdita di un
senso, avrebbe potuto essere perseguita come lesione gravissima ai sensi
dell’art. 583 comma 2 c.p.
Malgrado
tali aperture, la legge del 2006 ha segnato l’adesione ad un modello assimilizionistico,
addirittura attribuendo maggior disvalore al fatto in considerazione della
natura del fatto culturalmente orientato dello stesso.